Siamo ormai alla fine di una estate che per la cronaca nera che si è portata dietro non esito a definire semplicemente agghiacciante.
Faccio particolare riferimento alla qualità e quantità dei reati commessi contro le Donne: ancora tanti, troppi.
Ma faccio anche riferimento al metodo (che non posso che ritenere voluto e scientifico) che hanno molti di parlare di questi delitti orrendi, insensati, vuoti di significato ma che vengono trasformati in volontà politiche pessime, che non tengono in nessun conto le Donne per quello che sono in questi casi: vittime di uomini che stento a definire tali.
Abbiamo avuto una serie di episodi violenti, perpetrati da esseri immondi verso vittime innocenti, e questo credo sia indiscutibile.
Fiumi di parole, richieste strane come non mai, pene severe, espulsioni, pena di morte, una valanga di bile scaricata addosso alle vittime, non ai colpevoli: questo è il punto!
Lo avevo già scritto nei giorni scorsi, lo devo ripetere anche oggi, ammesso che non mi sia sfuggito qualcosa.
Non ho letto da nessuna parte una sola parola di comprensione per le vittime, ma si è fatto bieco giornalismo e pessima politica anche su di loro e su quello che hanno subito, sbattendo in prima pagina particolari che non avrebbero dovuto uscire dalle Procure (strano, vero? Non succede quasi mai…), o facendo dei distinguo che per me non hanno alcun senso tra chi non avrebbe dovuto essere qui e chi invece doveva essere altrove (Rimini) o tra il fatto che “forse erano ubriache” o che “in fondo erano consenzienti” (i due Carabinieri), o difese ad oltranza dell’Arma dei Carabinieri che non credo ne avesse bisogno. Per una volta tanto le Istituzioni coinvolte hanno reagito subito, condannando senza se e senza ma i due accusati, e allora basta. Ho letto cose ripugnanti sulle due studentesse, compresa quella fandonia dell’assicurazione: ogni studente americano all’estero ne ha una (vi ricordo che la Sanità negli Stati Uniti non è universalistica), ma quella assicurazione copre le spese mediche conseguenti ad ogni accadimento, non solo allo stupro. In ogni caso, anime belle, una assicurazione non coprirà mai il danno psicologico e morale di uno stupro, è bene che ci pensiate prima di sparare imbecillità. E allora? Per difendere i Carabinieri dobbiamo ribaltare la colpa sulle due ragazze?
Ieri sera ho avuto l’occasione e l’onore di conoscere il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Generale Tullio del Sette e, nei pochi minuti che abbiamo trascorso parlando tra di noi, ho ringraziato attraverso di lui l’Arma perché i 100.000 Carabinieri che in Italia ci sono fanno un lavoro straordinario e due imbecilli non fanno l’Arma. Purtroppo, non tutti la pensano così, salvo poi chiamare il 112 quando serve.
Vedete dove sta il “primitivo” degli uomini? Sta proprio qui: nell’indagare con prurito sessuale tutti i dettagli di una cosa orrenda, senza tenere in alcun conto le vittime, anzi in alcuni casi cercando di ribaltare verità inconfutabili, cercando di trasformare le Donne in puttane che, in fondo, sono contente di quei rapporti sessuali consumati con la violenza. Questo è, a mio avviso, l’aspetto più drammatico e rivoltante, ovviamente dopo la violenza in quanto tale.
Non spendo nemmeno una parola sulle dichiarazioni di quel presunto mediatore culturale di Bologna, non le merita: ma anche in questo caso, avere fatto ironia sulle sue parole non rende giustizia alle vittime, si è solo fatta politica su un cretino.
Ieri ho letto un pezzo di una arringa dell’Avvocato Tina Lagostena Bassi sul profilo di una amica di Facebook, Giovanna Prati, e ve lo riporto per intero :
“ Era il 1979, io avevo dieci anni, guardavo in tv Processo per stupro con mia madre e mia nonna, che per esempio di vita sono state due grandi femministe.Questa l’arringa della mitica Tina Lagostena Bassi.Mi amareggia notare che quanto dice sia applicabile al 2017.
(Via Camilla Comastri Montanari)
<Presidente, Giudici, credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi donne siamo presenti a questo processo. Per donne intendo prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula, ed io, che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato.
Che significa questa nostra presenza? Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c’interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. […]
Vi assicuro, questo è l’ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito la solita difesa che io sento: vi diranno gli imputati, svolgeranno quella difesa che a grandi linee già abbiamo capito.
Io mi auguro di avere la forza di sentirli, non sempre ce l’ho, lo confesso, la forza di sentirli, e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo.
Perché la difesa è sacra, ed inviolabile, è vero. Ma nessuno di noi avvocati – e qui parlo come avvocato – si sognerebbe d’impostare una difesa per rapina come s’imposta un processo per violenza carnale.
Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali da difendere, ebbene nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori: «Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!».
Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto.
[…] Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d’oro, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna.
E, scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale.
Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare venire qui a dire «non è una puttana». Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza>”
In queste parole c’è tutto quello che si dovrebbe dire: una Donna deve essere quello che vuole essere, senza bisogno di difensori.
Invece non è così nemmeno oggi, e le Donne lo sanno molto bene, purtroppo. Ecco perché insisto nel dire che trovo insensato cambiare una “o” con una “a”, si rischia il ridicolo, perché il rispetto sta altrove, sta nella mai troppo sondata antropologia del maschio malato. Purtroppo vedo anche donne che, per motivi che mi sfuggono, cavalcano l’onda di un malcelato maschilismo senza preoccuparsi delle conseguenze. Uno per tutti il becero articolo di Melania Rizzoli in prima pagina su Libero di oggi, articolo che sonda le imperscrutabili voglie di “pelo” sul pube femminile: un delirio di schifezza.
Per finire, quello che vorrei dirvi è che a me non importa se chi stupra è italiano o no, non mi importa se “con lo ius soli sarebbero stati italiani”, non mi importa se sei minorenne o no, non mi importa se “lei se la è cercata”, non mi importa se sei Carabiniere o no, non mi importa se gli stupri in Italia sono meno che in Germania, mi importa che siamo ancora molto, troppo lontani da un rispetto che sarebbe dovuto alle Donne e che invece non c’è. Perché se ci preoccupiamo del contorno, della cronaca, dei dettagli e non delle vittime siamo ancora all’età della pietra.