Trivelle e referendum (di Stelio W. Venceslai)

 

Di mala voglia pochi si accingono ad andare alle urne. Molti altri, invece, diserteranno. Sono in buona compagnia: Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio hanno detto ai quattro venti che è inutile andare a votare. Per un Paese che si avvia al sistema delle nomine dall’alto, sono dichiarazioni coerenti.

Cos’è la volontà popolare? Nulla e può dare fastidio. Aboliamo il referendum: sono pericolosi. Così muore la democrazia, ma non importa a nessuno.

Le consultazioni popolari sono importanti, perché, a torto od a ragione “correggono” il punto di vista di un Parlamento che non è tra i più eccelsi. Paesi come la Svizzera si reggono anche su referendum frequenti che indicano ai governanti gli umori del popolo.

Sorvolo sul fatto che il nostro è un Parlamento incostituzionale che, invece, cerca di cambiare la Costituzione. Sorvolo sul fatto che gli interessi delle grandi lobbies, specie finanziarie ed energetiche, mai come in questo periodo si siano fatte forti e, di fatto, governino, e male, il Paese. Sorvolo sulle figure impietose della nostra classe politica. Sono fatti a tutti noti.

Parliamo, invece, di trivelle.

Il nostro mare territoriale è di dodici miglia: territorio nazionale sotto sopra ed in cielo.

Al di là delle dodici miglia ce ne sono altre dodici per la vigilanza dogane: controllo navale. Poi, c’è il mare aperto, libero, per tutti.

Ma, di sotto il mare, dopo queste ventiquattro miglia, c’è la ”piattaforma continentale”, una specie di scalino dopo il quale il mare sprofonda. Talvolta la piattaforma è comune ad altri Paesi, talvolta no. Se è comune, esistono accordi per la delimitazione. In questo caso c’è un’estensione della sovranità nazionale solo sul fondo e sul sottofondo del mare, non sul mare, sino alla linea di demarcazione. In genere, nelle piattaforme esistono sacche di petrolio o di gas.

Il referendum chiede ai cittadini di esprimersi sulle concessioni petrolifere entro le dodici miglia delle acque territoriali. Non affronta il problema delle concessioni sulla piattaforma continentale, dove tutto resterà invariato. In particolare, chiede se è il caso di rinnovare le concessioni, alla loro scadenza, oppure di negarle, entro le dodici miglia.

Se si risponde di sì, le concessioni, alla loro scadenza, non saranno più rinnovate, anche se il giacimento non è stato interamente sfruttato.

Se si risponde di no, tutto continuerà come prima e del referendum ci resterà solo di pagare i costi.

Se non si va a votare ed il referendum non raggiunge il 50,01% dei votanti, è come se si rispondesse di no. Le concessioni continueranno sino al termine delle stesse o fino all’esaurimento dei giacimenti.

Naturalmente, gli ambientalisti ed i cultori delle energie alternative sono per il sì. Se vincono, non succederà nulla sino alla fine delle concessioni, ma dopo non se ne daranno più.

I gruppi petroliferi ed industriali sono fautori del no. In questo caso, tutto resterebbe come prima. È da notare che poiché le concessioni sono di lunga durata (15/30 anni), nel frattempo potrà sempre intervenire in materia una nuova legislazione che cambi le carte in tavola.

I Presidenti di cui sopra sono per non andare a votare: dunque, sono favorevoli agli effetti che si produrrebbero con un voto referendario prevalente di no.

Le ragioni sono politiche e non hanno nulla a che vedere con la tutela dell’ambiente tanto strombazzata con lo sviluppo delle energie alternative o con il pericolo d’incidenti ed il crollo del turismo estivo. Basta vedere lo scempio del paesaggio con le torri eoliche per capire che il rimedio è peggiore del danno. Tra l’altro, nessun incidente ambientale, fino ad ora, si è verificato sulle nostre coste. Non vuol dire nulla: un incidente può sempre capitare, ma fino ad ora non c’è stato.

C’è solo un punto, a mio parere, a favore del sì: la durata della concessione. Per tutte le concessioni sul suolo pubblico, la durata è limitata, per il settore energetico no, perché potrebbe andare, ed in taluni casi va, sino alla fine dello sfruttamento del giacimento. Questo trattamento differenziato non è molto giustificabile e crea una discriminazione a vantaggio dei petrolieri.

La questione vera è se l’Italia ha bisogno del suo gas o del suo petrolio.

In via di massima, noi siamo tributari dal resto del mondo della stragrande maggioranza dei nostri rifornimenti. Diminuire questa dipendenza non può che farci comodo ma, almeno in questo momento, di gas e di petrolio ce n’è fin troppo in giro, ed a prezzi stracciati. Potrebbe essere saggio conservare le nostre magre risorse per i tempi bui.

Non abbiamo mai avuto una politica energetica nazionale e l’incertezza che governa le scelte del Paese è tale che nessuno sa cosa e come votare.

Per istinto personale, perché non amo un Presidente del Consiglio (mai stato eletto da qualcuno) che, invece di stare zitto, sminuisce il diritto-potere del popolo di esprimere la sua opinione, voterei per il sì.

Ci sono rimaste pochissime occasioni per dire quello che pensiamo con un voto. Dopo tutto quello che paghiamo e tutto quello che non otteniamo da questo Stato infido, abbiamo un piccolo spiraglio di libertà. Usiamola.

 

Roma. 15 aprile 2016.

 

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