Coalizioni, liste civiche e bancarelle. (di Stelio W. Venceslai)

Dai risultati della tornata amministrativa di ieri, che ha coinvolto quasi dieci milioni di elettori, emergono alcuni dati significativi a carattere generale.
• Il primo è che la gente va a votare solo se è interessata alle questioni che si dibattono. L’astensione c’è sempre, ma è minore quando si tratta di consultazioni elettorali locali. La gente è interessata a cose concrete: la pulizia delle strade, la costruzione di un ponte, una revisione dei flussi di traffico e così via. I grandi progetti, le belle parole, le macro questioni della politica sono considerate indigeribili e pericolose (v. l’ultimo referendum costituzionale) perché, se vanno in porto, perché alterano lo statu quo, in genere peggiorandolo. Il Paese è, essenzialmente, conservatore. Non è felice, ma le innovazioni preferisce che vengano dal di fuori. Non si fida dei propri politici.
• Il secondo elemento di osservazione è che l’idea del tripolarismo, causa di goffi tentativi di riforma della legge elettorale, sostanzialmente è un bluff. Il vero confronto è tra il sistema vigente e il “nuovo”, rappresentato da 5Stelle. Se 5Stelle avanza, il sistema tradizionale tende a coalizzarsi contro. Se 5Stelle arretra, il sistema torna a dividersi e a confliggere. Siamo sempre in un bipolarismo classico.
• Il terzo dato è che i partiti tradizionali hanno la tendenza a nascondersi in coalizioni dove si raggruppano, temendo che i simboli classici dell’appartenenza a questo o a quello schieramento possano essere controproducenti. Ciò porta ad una sostanziale indifferenza delle sigle. Le coalizioni, in realtà, sono vincenti sull’elettorato. Il caso francese, nel quale Macron ha praticamente spiazzato tutti i partiti tradizionali francesi, è eloquente. In parte, ciò è avvenuto anche nel Regno Unito.
• Il quarto dato è la progressiva radicalizzazione della vita politica italiana. I giochi sono fra centrodestra e centrosinistra, anche se le differenze tra i due schieramenti sono pressoché irrilevanti. Questa radicalizzazione, che in realtà sembra ispirata da una necessità di semplificazione del quadro politico, riporta a un bipolarismo vero e proprio.

Il mancato successo di 5Stelle è spiegabile in molti modi. Un loro esponente ha puntato il dito sul fatto che i partiti tradizionali hanno soldi e strutture collaudate da tempo mentre un’organizzazione quasi di volontariato, come il Movimento, non ne ha. Fra un supermercato e tre bancarelle non c’è concorrenza. In parte è una tesi ragionevole, ma non sufficiente. Inoltre, dovunque, credo, 5Stelle si è presentato da solo e questa politica d’isolamento e di disprezzo per gli altri, in tempo di coalizioni, è stata una penalizzazione.
Nelle città minori, nei piccoli capoluoghi di provincia, l’affidamento degli elettori è guidato dal rapporto personale, diretto o meno, con gli esponenti dei vari partiti. È un rapporto di fiducia che nasce dalla conoscenza, dalla frequentazione degli stessi luoghi, da un pregresso di stima o di notorietà. Il Movimento, là dove trova dei candidati, ha persone di mezza tacca. La gente non le conosce, magari le stima anche, ma non se la sente di affidare loro il destino della propria città.
A volte le cose possono andare bene, come a Parma (ma Pizzarotti è stato espulso dal Movimento), a volte meno bene (come a Torino), a volte malissimo (come a Roma). La questione della classe dirigente è fondamentale per 5Stelle e non l’ha certo risolta. Quanto all’ipotesi che possa aspirare a un governo, è come se Masaniello volesse dialogare con Putin. Inutile pensarci.
Il successo di Macron in Francia ha ridicolizzato tutti i partiti tradizionali della Repubblica e, soprattutto, ha fortemente ridimensionato il partito della Le Pen che, alle elezioni politiche, è letteralmente crollato. Questo movimento è in crisi di persone (la Marianne è contestata all’interno, il padre fondatore è stato espulso e medita un nuovo partito, la nipote, astro nascente, ha deciso per qualche anno di dedicarsi alla figlia che ha appena avuto). Il ridimensionamento della Le Pen e la scomparsa dell’Ukip in Inghilterra dovrebbero far molto riflettere la Lega e Fratelli d’Italia sulla china pericolosa del “sovranismo”. Un viottolo che non porta da nessuna parte. Il paradosso di una Lega all’origine scissionista e ora, propugnatrice della sovranità italiana, non fa molta presa, specie nel Meridione, perennemente offeso dalla politica nazionale.
Nella commedia politica italiana l’unico, vero grande commediante è Orlando, a Palermo, ex democristiano di sinistra, ex fondatore della Rete, che è riuscito ad essere eletto al primo turno. Un uomo abile, intelligente e capace, che ha coagulato consensi da prima Repubblica. È un peccato che si sia rinchiuso nel comodo alveo palermitano. A petto a lui, gli altri comprimari politici italiani sono dei nani buffi.
Queste elezioni amministrative sono state un test importante, anche ai fini di quella che sarà, prima o poi, la legge elettorale. La navigazione a vista di Renzi, l’altro ieri con 5Stelle, ieri con Forza Italia, oggi con Pisapia, domani, chissà, con chi gli fa di nuovo intravedere la poltrona di Presidente del Consiglio, non potrà non tener conto delle indicazioni, forse confuse ma nette, nel loro insieme, che provengono dall’elettorato.
Il ballottaggio futuro non è, poi, così importante. Molti non andranno a votare, si faranno alleanze di comodo destinate a scomparire: il solito mercato. Una cosa, però, è certa: il sistema elettorale delle amministrative funziona. Perché non adottarlo su scala nazionale?

Roma, 12 giugno 2017.

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