America first (di Diplomaticus)

Il Pakistan è il risultato di una tragedia politico-religiosa che si è consumata al tempo della predicazione di Gandhi e dell’abbandono dell’India da parte degli Inglesi.
Ghandi predicava la pace e la non violenza, ed è stato ammazzato. Milioni di indù musulmani si sono trasferiti verso l’Ovest e milioni di indù non musulmani si sono trasferiti verso Est. Sangue, stragi, morti dappertutto, perché le due fedi, dopo quasi settecento anni di pacifica convivenza, dopo il collasso dell’Impero britannico, chissà perché, non potevano continuare a vivere pacificamente. Bisognava assolutamente fare due Stati, uno islamico e l’altro induista.
Così, c’è stata anche una guerra, oltre ad una grande regione contesa, il Kashmir, attribuita all’India ma contestata dal Pakistan, fonte di continue frizioni di frontiera.
Il nuovo Stato islamico, il Pakistan, però, era diviso in due tronconi, uno ad est e un altro ad ovest, con in mezzo l’India. Poteva durare? Non è durata. Oggi ci sono il Pakistan e il Bangladesh, separati dallo Stato indiano, ma c’è voluta un’altra guerra.
Ciononostante, Il Pakistan è un grande e, al tempo stesso, un miserabile Paese. Ha un suo arsenale nucleare ed è pesantemente armato, grazie agli Stati Uniti. Viene da una guerra disastrosa con l’India, anch’essa potenza nucleare ed emergente. Ma il Pakistan non emerge. Governato da dittature militari o da élites di miliardari, il popolo vive nella miseria più nera. Confina con l’Afghanistan, e nelle regioni di confine si parla il pashtun, perché le popolazioni da una parte all’altra della frontiera appartengono alla stessa etnìa.
In Afghanistan, da cinquant’anni, c’è l’inferno. Ci sono passati tutti, Inglesi, Americani e Russi, monarchici e repubblicani, comunisti e democratici (o quasi), islamici e laici, pastori ed intellettuali. Non c’è niente d fare. È inutile illudersi che vi possa essere una parvenza di vita politica democratica, magari al livello, già basso del Pakistan.
I Talebani controllano il 40% del Paese. Montagne aride, valloni scoscesi e imprendibili. Non riesce a stanarli nessuno, neppure le suore di carità. Le basi logistiche dei Talebani sono nelle regioni di confine pakistane. Il governo di Islamabad lo sa, ma fa finta di nulla. Un colpo al cerchio (Stati Uniti) e uno alla botte (Talebani, al-Qaeda ed ISIS). Non si sa mai.
Adesso Trump si è stufato e ha detto chiaro e tondo a Islamabad che, o si mette in riga e la smette di proteggere e di foraggiare i Talebani, al-Qaeda e l’ISIS, oppure Washington bloccherà quattrini e forniture di armi e di specialisti all’esercito pakistano, su cui si regge il governo di quel Paese.
Non è facile immaginare il prossimo svolgimento degli eventi. Se il Pakistan si “offendesse”, entrerebbe nel nuovissimo club nucleare in formazione tra la Corea del Nord e l’Iran. Se entrasse nel novero solo dei “dispiaciuti”, lo vedrei a fianco della Turchia e della Siria di Assad, con molte strizzatine d’occhio verso Putin. Se piegasse la testa a Trump, ma la cosa mi sembra improbabile, dovrebbe tagliare i viveri ai Talebani, chiudere le frontiere e spazzare via Isis e al-Qaeda dal proprio territorio.
C’è un filo rosso-sangue fra le minacce di Trump al Pakistan e l’incrudelirsi delle missioni suicide in Afghanistan. I Talebani impazzano a Kabul, con attentati sanguinosi, tanto per indebolire il governo sostenuto dagli Americani (e da noi). A giudicare dal numero e dalla gravità degli attacchi suicidi, sembra che possano fare quello che vogliono, dove e quando vogliono.
La situazione in Medio Oriente è sempre molto intricata. Questo nuovo atteggiamento americano verso il Pakistan può complicarla ancora di più, come se non bastassero la guerra civile nello Yemen, la questione kurda e la guerra che i Turchi, con l’appoggio russo, stanno facendo contro i Kurdi che hanno sconfitto l’Isis con l’appoggio degli Americani i quali, ora, naturalmente, stanno in disparte.
Per il lettore disorientato proverò a riassumere i termini della questione:
1° – In Siria c’è un protetto dai Russi, Bashar Assad. Parte dei Siriani non lo ama e insorge. L’America li foraggia. Comincia, da sette anni, una lunga e sanguinosa guerra civile (centinaia di migliaia di vittime e distruzioni immani) tuttora in corso.
2° – Nel frattempo, l’opposizione ad Assad si divide in due: i filo democratici (con l’appoggio degli Stati Uniti) e i filo integralisti islamici (con l’appoggio dell’ISIS), più altre frange dissidenti a geometria ed alleanze variabili.
3° Dopo aver dato molto fastidio, il Califfato islamico dell’Isis perde pezzi sotto la pressione siriana (Assad), russa, kurda, iraniana ed iraqena ed è in ritirata.
4° – i Kurdi sono quelli che si sono dati più da fare e sperano, a guerra finita, con il sostegno degli Stati Uniti, di ritagliarsi un loro Stato fra Turchia, Siria, Iraq e Iran. Praticamente, sono stati i Kurdi a battere l’ISIS, con l’aiuto e le armi americane.
5° – Purtroppo i Kurdi non piacciono a Erdogan che comincia (in realtà, prosegue) una sua guerra personale contro i Kurdi. I Russi lo appoggiano e gli Americani, che sono alleati della Turchia nella NATO, stanno a guardare il massacro dei Kurdi nelle regioni siriane al confine con la Turchia.
6° – I Talebani fanno la guerra al governo di Kabul sostenuto dagli Americani. I Pakistani, alleati degli Stati Uniti, fanno il pesce in barile e, nel frattempo, i resti di quello che fu l’ISIS si saldano con i Talebani mentre, pare, che ci siano alcune tensioni con al-Qaeda. Questioni di concorrenza sul mercato del terrorismo.
In conclusione, gli Stati Uniti sono una potenza militare in imbarazzo. Sono alleati di tutti, tranne che di Assad, al momento (ma non è detto). Poi, il fatto che i suoi alleati si combattano fra loro, è del tutto secondario.
Torniamo a Trump: rischia di complicare ulteriormente questo scenario, di per sé già abbastanza confuso e, alla fine, di avere tutti contro, a partire proprio dai Kurdi traditi.
America first va bene, ma solo per gli Americani.

Roma, 31 gennaio 2018

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