Post election

Nei giorni caldi della campagna elettorale ho cercato di non entrare nelle polemiche che hanno caratterizzato una delle campagne elettorali più violente, prive di contenuti ma piene di urla che io abbia mai visto.
Come sono andate le cose lo sapete, adesso sono i giorni delle telefonate, degli incontri, delle scaramucce, insomma di tutto quello che è la politica.
Promesse ne abbiamo sentite tante, a mio avviso troppe, e alcune di queste erano e restano semplicemente impossibili da realizzare.
Abbiamo anche sentito ritornare vecchie idee elettoralistiche, una per tutte il ponte sullo Stretto di Messina, opera a mio avviso non solo inutile ma semplicemente irrealizzzabile che intanto però è bene che sappiamo che ci è costata 312 milioni 355 mila 662 euro, secondo calcoli del Ministero delle Infrastrutture.
Non c’è che dire, una bella cifra per un’opera “virtuale”: peccato solo che quei soldi non siano “virtuali”, ma siano veri. E nostri.
Qui sia Berlusconi che Renzi hanno fatto la loro parte, ma non mi pare che né i siciliani né i calabresi abbiano premiato la loro idea, peraltro mica tanto nuova.
Ma vieniamo al dopo elezioni con un paio di considerazioni che vorrei fare, sperando di non scatenare le ire di qualcuno. Solo due cose, sperando che qualcuno mi smentisca.
Considerazione n° 1: il CNEL.
Allora, al referendum del 4 dicembre scorso, credo che non molti abbiano fatto caso che, tra le tante cose che si volevano abolire, c’era pure il CNEL. Fatemi un favore: senza andare su Internet, quanti di voi sanno cosa significa questo acronimo e, peggio ancora , quanti sanno esattamente a cosa serve?
Io non entro nel merito, ma cerco di far meditare chi ha votato “no” il 4 dicembre su alcune questioni.
Sulla base della legge n. 214/2011, il CNEL consta di 65 membri così suddivisi:

il presidente, nominato con decreto del presidente della Repubblica, al di fuori degli altri componenti;
10 «esperti, qualificati esponenti della cultura economica, sociale e giuridica» di cui:
8 nominati direttamente dal presidente della Repubblica,
2 nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri;
48 «rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblico e privato», di cui:
22 rappresentanti dei lavoratori dipendenti, tra i quali 3 «rappresentano i dirigenti e i quadri pubblici e privati»;
9 rappresentanti dei lavoratori autonomi e delle professioni;
17 rappresentanti delle imprese.
6 rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni del volontariato.
I membri del Consiglio restano in carica per cinque anni e possono essere riconfermati.
Ma tutto questo coacervo di Eminenze girgie dello Stato quanto ci costa?
Il CNEL costa circa 20 milioni di euro l’anno. E , se non ho letto male, ha elaborato 14 proposte di legge in 50 anni e nessuna di queste è arrivata al Parlamento.
Solo i 64 consiglieri e la presidenza costano 3 milioni nel 2012. Gli 80 dipendenti costano invece 7 milioni e quindi la mera sussistenza delle 150 persone ospitate a Villa Lubin è di 10 milioni di euro.
Non si bada a spese per la pubblicità, le relazioni pubbliche e la comunicazione come se il Cnel dovesse vendere qualcosa: 850mila euro l’anno è il budget messo a disposizione per decantare le virtù dell’organo che dispensa
studi e consigli sui temi dell’economia e del lavoro.
In totale si arriva, appunto, a un costo di circa 20 milioni l’anno.

Il Presidente, Tiziano Treu, conduce il Cnel per la prima volta, dopo i due mandati di Antonio Marzano.
L’ex ministro del lavoro e dei trasporti  vanta un compenso annuo di circa 215 mila euro all’anno.
Ma subito dopo il 4 dicembre, visto che non spariva nulla, il CNEL ha nominato altri 48 consiglieri e pare (dico, pare) che adesso ci sia l’intenzione di nominarne altri 64.
Per fortuna che le nomine devono essere approvate dal Governo che non c’è.

Considerazione n° 2: l’elezione di Umberto Bossi a Senatore.
Allora, prima di tutto lungi da me il voler contestare il risultato elettorale di chi ha visto aumentare in modo esponenziale i propri voti, di chi risulta essere il terzo partito del Paese, ma una domanda la devo fare:
ma era proprio il caso di candidare Umberto Bossi e farlo eleggere al Senato? A me pare di no (e potrei dire lo stesso per molti altri candidati di altri partiti, anche molto più giovani).
Umberto Bossi È stato eletto per la prima volta al Senato nel 1987 (X legislatura).
Dal 1992 ha ricoperto per sei volte la carica di deputato (XI, XII, XIII, XIV, XVI e XVII) e nuovamente senatore (XVIII). Per quattro volte ha ricoperto la carica di parlamentare europeo.
Ha già fatto una bella carriera, alla veneranda età di 77 anni.
E invece viene ricandidato, ovviamente in modo tale da essere sicuri della sua elezione e, come d’incanto, sparisce la richiesta di risarcimento danni dello Stato per i 43 milioni di euro (nostri) per i quali era stato condannato.
Ma Bossi ha già avuto a che fare con la Magistratura, almeno secondo Wikipedia:
ENIMONT
Il 5 gennaio 1994, al processo ENIMONT, Umberto Bossi ha riconosciuto la colpevolezza dell’amministratore del movimento Alessandro Patelli relativamente a un finanziamento illecito ricevuto dallo stesso da parte di Carlo Sama
della Montedison. Dopo aver restituito integralmente la somma di 200.000.000 di lire, raccolta dagli stessi militanti leghisti, e dopo l’allontanamento dal partito di Patelli, Umberto Bossi è stato condannato con sentenza definitiva
dalla Cassazione a 8 mesi di reclusione per violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti.

Fatti di via Bellerio
Per i fatti di via Bellerio del 18 settembre del 1996, quando i leghisti opposero resistenza agli agenti di polizia che cercavano documentazione nella sede della Lega su ordine della magistratura di Verona,
Bossi è stato condannato a 4 mesi, 20 giorni in meno rispetto a Roberto Maroni.

Vilipendio alla bandiera
Umberto Bossi è stato in seguito condannato in contumacia, un anno e quattro mesi di reclusione, per il reato di vilipendio alla bandiera italiana per averla in più occasioni,
il 26 luglio e il 14 settembre 1997, pubblicamente offesa usando, nella prima occasione la frase “Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il culo”,
nel secondo caso, rivolto a una signora che esponeva il tricolore, “Il tricolore lo metta al cesso, signora”, nonché di aver chiosato “Ho ordinato un camion di carta igienica tricolore personalmente,
visto che è un magistrato che dice che non posso avere la carta igienica tricolore”.
Il Tribunale di Como concede all’imputato Umberto Bossi, il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Il 15 giugno 2007 la Prima sezione penale della Cassazione, respingendo il ricorso presentato dalla difesa, lo ha condannato in via definitiva.

Per il secondo evento si è ricorso alla Camera, nel gennaio 2002, che non ha concesso l’autorizzazione a procedere nei confronti di Bossi,
allora ministro delle Riforme per l’accusa di vilipendio alla bandiera, ma la Consulta ha annullato la delibera di insindacabilità parlamentare, nella sentenza 249 del 28 giugno 2006.

Grazie alle modifiche intervenute con l’art.5 della Legge 24 febbraio 2006, n. 85 “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione” che all’art 5 modifica l’art. 292 del
Codice Penale “Vilipendio o danneggiamento alla bandiera o ad altro emblema dello Stato” Bossi, originariamente condannato in via definitiva ad 1 anno e 4 mesi, ha visto la pena commutata nel pagamento di una sanzione di 3.000 euro.
Aveva inizialmente chiesto che anche la multa gli venisse tolta, in quanto europarlamentare, ma la Cassazione aveva rigettato il ricorso confermando la condanna a pagare 3.000 euro di multa sebbene poi la sanzione sia stata interamente coperta da indulto.

Vilipendio al Capo dello Stato
Bossi è stato processato per giudizi sul conto di Oscar Luigi Scalfaro espressi nel 1993; è stato assolto il 7 ottobre 1998 dal Tribunale di Milano, che ha riconosciuto l’insindacabilità delle opinioni espresse.

È stato poi condannato a 18 mesi dal tribunale di Bergamo nel 2015 per insulti al presidente Giorgio Napolitano espressi alla festa invernale del Carroccio ad Albino nel dicembre 2011.

Diffamazione dei magistrati
Bossi è stato condannato a cinque mesi di reclusione nel novembre 1995 dal tribunale di Brescia, per diffamazione pluriaggravata nei riguardi del sostituto procuratore di Varese, Agostino Abate, insultato in occasione di alcuni comizi. Nel settembre del 1996 era stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Padova per le minacce rivolte alla magistratura in un comizio.
Le cause, anche civili, intentate a Bossi dai magistrati sono numerose.

Attentato ai diritti politici dei cittadini
Il 7 maggio del 1999 i giudici della Corte d’Appello di Brescia lo hanno condannato a un anno per istigazione a delinquere ai danni di Gianfranco Fini e di altri esponenti di Alleanza Nazionale.
I fatti si riferiscono al 4 agosto del 1995 quando Bossi, nel corso di due comizi a Brembate e ad Albano Sant’Alessandro, nel bergamasco, aveva invitato i leghisti a cercare “casa per casa i fascisti” e aveva specificato che per fascisti intendeva anche gli esponenti di Alleanza Nazionale che aveva definito, tra le altre cose, “il fetore peggiore del Parlamento”.

Centomila bergamaschi armati
Per avere dichiarato che centomila bergamaschi erano pronti con i fucili a fare la secessione, Bossi è stato condannato a un anno di reclusione in primo grado.

Scandalo dei rimborsi elettorali
Nel maggio 2012 Bossi è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Milano con l’accusa di truffa ai danni dello Stato a causa dello scandalo dei rimborsi elettorali, ossia danaro pubblico utilizzato per esigenze personali (nell’ambito del cosiddetto scandalo Belsito).

Il 5 febbraio 2015 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova ha chiesto di rinviare a giudizio Bossi e Belsito per truffa sui rimborsi elettorali ai danni dello Stato (40 milioni di euro).
L’inchiesta, da Milano, era stata trasferita a Genova per competenza territoriale. Il 10 luglio 2017 il tribunale di Milano condanna Umberto Bossi a due anni e tre mesi,[97] di reclusione per truffa allo Stato per avere, nel periodo tra il 2008 e il 2010, presentato rendiconti irregolari al Parlamento per ottenere indebitamente fondi pubblici. Denaro poi utilizzato in gran parte per le spese personali della famiglia Bossi.

Appropriazione indebita
Il 27 marzo 2017 nel processo “The family” il PM della Procura di Milano Paolo Filippini chiede per Bossi 2 anni e 3 mesi e 700 euro di multa per appropriazione indebita dei fondi del partito;
per il figlio Renzo vengono chiesti 1 anni e 6 mesi (l’altro figlio Riccardo con rito abbreviato era stato condannato alla stessa pena), mentre per Francesco Belsito 2 anni e 6 mesi.
Bossi senior avrebbe speso 208.000 euro di fondi del partito per sue esigenze personali. Il 10 luglio l’ex leader del Carroccio viene condannato a 2 anni e 3 mesi.
Bene, tutto questo passa in cavalleria, ma passa in cavalleria anche la restituzione dei fondi pubblici che Bossi e il suo partito avrebbero, secondo i Magistrati, usato in maniera quantomeno “allegra”.
Poi, solo per rimarcare un punto dolente: con queste condanne un Cittadino italiano qualunque non potrebbe fare concorsi pubblici, non potrebbe fare lo scrutatore alle elezioni, ma il Senatore sì, quello lo puoi fare, se ti chiami Umberto Bossi.
Sono solo due esempi, scritti anche un po’ in fretta, sto rubando tempo al mio lavoro, io che non sono e non sarò mai Senatore della Repubblica; ma mi pare che siano due esempi di pessima memoria degli italiani, e che possano spiegare piuttosto bene pderché la maggioranza dei voti è andata ad un gruppo politico che promette di fare le cose in modo diverso. Io non ci credo, ma vedremo.
Intanto, solo per finire: se il 4 dicembre Renzi non avesse personalizzato il referendum (uno dei suoi errori più gravi) e gli italiani avessero votato sapendo cosa votavano, oggi il CNEL non ci sarebbe più, il Senato nemmeno, le Regioni avrebbero continuato il percorso riformista e, forse, avremmo un’Italia diversa.
Ma anche qui lancio una sfida: quanti possono serenamente dire di sapere cosa c’era da votare il 4 dicembre?
Adesso, solo una prece per il nostro Paese e speriamo bene.
Buon lavoro a tutti quelli che, come me, la pagnotta la guadagnano ogni giorno lavorando duramente.

Lascia un commento

comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *